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Di questi tempi, è piacevole sollazzarsi sul Web alla ricerca dei naufraghi lasciati su spiagge lontane, dispersi dal terrificante uragano delle recenti elezioni: cercando, scovando con il binocolo spiagge che si pensavano deserte, s’intravedono sparuti gruppi di giovani e meno giovani, un mondo di ex alla deriva che costruisce incerte capanne, edifica casette sulle paludi, pianifica d’ergere grattacieli su aguzze vette. Dell’immaginazione.
Qualcuno, pensa invece di tornare alla Patria avita, al focolare dal quale è stato brutalmente scacciato: è il caso dei Verdi, che meditano un ingresso nel PD magari tardivo, ma qualcosa pur sempre è. Bisognerà andare a piedi scalzi a Canossa, cospargersi il capo di cenere (rigorosamente di fonte biologica) e, infine, sperare nella pietà del Papato o dell’Imperatore, secondo il vento che tira. Durerà probabilmente anni il pellegrinaggio – cinque senz’altro – così, se tutto andrà a buon fine, avremo anche gli “Ambientalisti – ombra”. Che già avevamo.
Altri, invece, non cercano spazio nelle riserve e passano il tempo a lucidare vessilli che hanno loro stessi insozzato – è il caso di uno schiavo liberato, un tal Di Liberto – oppure s’appressano al tremebondo regno dei farnetichi – è il caso della “compagnia cantante” di Rifondazione – che continua, come se nulla fosse accaduto, a presentare, approvare e bocciare tesi e antitesi, risoluzioni programmatiche, analisi e riflessioni (poco critiche). In quella lontana isola – che la penna di Melville descriverebbe con gran maestria – quando la sintesi non è più possibile s’inizia a tuonare il verbo della scissione: minacciata, contata, ricontata, rientrata, riproposta…Pare che qualcuno, dimenticato solo su uno scoglio, stia pensando – per scindersi finalmente dai traditori dei lavoratori – di ricorrere al bisturi.
C’è chi, invece, da settimane tace.
A dire il vero, non sarebbe richiesto un commento del sindacato su quanto è accaduto ma, visto che Epifanio si è sbilanciato ad affermare che “le elezioni non sono proprio andate come desideravamo”, bisognerebbe sapere cosa medita per il futuro, perché la nuova situazione politica non esime il sindacato dal porre (e porsi) profonde riflessioni.
Non parliamo degli altri “confederali”: Bonanno si è già perfettamente acclimatato sulle poltrone dell’isola delle Vespe, al punto che gorgheggia, svolazza e sbatte le ali che sembra un cardellino, mentre intrattiene i nuovi padroni del vapore che lo osservano, incuriositi da tanto frullar per l’aria. Di Angeletto non si hanno notizie, come del resto della UIL non se ne hanno da decenni nei luoghi di lavoro: sarà un sindacato “virtuale”, pronto a reggere le sfide della società informatizzata e presente, oramai, solo nell’agone elettronico.
La sfiga di Epifanio è quella d’essere ancora – in qualche modo – punto di riferimento per molti lavoratori: arrabbiati, delusi, stufi delle manfrine neoliberiste che ci ammansiscono, ma che non perdono d’occhio la vecchia CGIL, se non altro per una questione di tradizione.
Deve, oltretutto, fronteggiare la fronda interna del solito Rinaldini e della sua FIOM i quali, poveracci, hanno perso qualsiasi riferimento ancora visibile nel mondo politico. Non si parla ancora di scissione, ma di voti contrari nelle varie assemblee e riunioni già si sente il vento di tempesta, al quale il buon Epifanio ha risposto “dimettendo” due delegati sindacali milanesi oramai troppo “fuori linea”. Una semplice questione di democrazia interna, che nella CGIL segue, da sempre, il metodo di Josif (non Broz).
Ora che “l’Armata Rossa” è definitivamente migrata con le forze Bianche, anche Epifanio riflette: un tempo, il futuro politico di un ex sindacalista era garantito dalla cosiddetta sinistra, fosse un posto come direttore dell’INPS, uno scranno parlamentare o una poltrona da sindaco. Che, per come sono andate le cose a Roma, c’è da scordarsela per un po’.
Che fare? Si chiedeva Lenin in ben altre ambasce: non confondiamo la porcellana con la terracotta.
Il nuovo ministro del Lavoro – Sacconi – ha chiesto alla CGIL di non “riproporsi come la vecchia, solita CGIL”. Siamo in completo accordo con Sacconi: cambiano, probabilmente, i punti d’osservazione.
Il primo “pizzino”, inviato dai sindacati (all’apparenza, unitari) alla nuova classe politica – ufficiale ed “ombra” – è stata una proposta di quelle che colano grasso, mica roba da ridere. In buona sostanza, si trasformeranno i contratti da biennali a triennali, in completo accordo con i desiderata di Confindustria.
Della cosa non sono stati informati i lavoratori né, tanto meno, è all’orizzonte una consultazione referendaria: s’ha da fare, via, cosa stiamo a perder tempo…
Di tempo, il buon Epifanio non ne perde, perché sa che non ne ha molto per accreditarsi presso i nuovi padroni PDL-PD: quelli che perderanno “tempo”, come sempre, saranno i lavoratori, i quali si troveranno a rinnovare contratti non più dopo la scadenza del secondo anno, bensì del terzo.
“Lavorando” accuratamente sulle “vacanze contrattuali” – vedi l’ultimo, immondo rinnovo contrattuale del pubblico impiego – si potrà “scorporare” un anno intero dalla contrattazione. Risultato: se – considerando un’inflazione ufficiale al 3% – dopo tre anni i lavoratori (per recuperare soltanto il potere d’acquisto dei salari!) dovrebbero ricevere il 9% d’aumento, con qualche trucco già utilizzato si scenderà al 6-7%, ed un’altra fetta di ricchezza andrà a schizzare nelle tasche degli imprenditori e delle banche. Oltre, ovviamente, in quelle di lor signori, che continueranno a gozzovigliare con 19.000 euro il mese. Poi, s’allagheranno gli studi televisivi con i pianti di coccodrillo sulla povertà degli italiani. Tutto fa brodo: anzi, audience.
Fermi! Cosa state bestemmiando! Il nuovo credo – ufficiale ed “ombra” – ci parla di merito, meritocrazia, premio per chi fa di più…basta con i fannulloni…rubapagnotte…
Puntuale, “Repubblica” – giornale “ombra” – piazza telecamere nascoste (e la privacy? Mah…) all’ingresso della Corte di Cassazione, per inchiodare i dipendenti che “timbrano” e poi vanno a posteggiare l’auto. Chi conosce Roma e le adiacenze del “Palazzaccio” sa bene cosa significa trovare un parcheggio nell’area. Di più: oramai cosciente d’essere il megafono di uno sterile governo ombra, Repubblica si lascia andare a pruderie che credevamo soltanto appannaggio del Daily Mirror e della famiglia reale inglese:
“Filmati da Repubblica Tv, come la bella bionda che timbra, esce, riparte in auto con un accompagnatore e viene riportata in sede dopo 25 minuti.”
Tutti saranno rimasti incuriositi dalla fantomatica “bionda” che saliva sull’auto (non poteva essere una donna che era rimasta in panne con l’auto…che aveva avuto un’improvvisa urgenza…) no: si scatena la pruderie su cosa si “può fare” in 25 minuti. Viva i grandi giornalisti di regime, pagati con le nostre tasse, sia gli “ufficiali” che gli “ombra”.
Di rimbalzo, echeggia il buon Brunetta che si lancia in un’iperbole, di quelle che scuotono l’audience: basta! Licenziare tutti i fannulloni (che gli italiani, grazie al “giornale ombra” appena citato, identificano ovviamente con gli impiegati della Cassazione) e passare alle misure drastiche: “Colpirne uno per educarne cento”. Lo avesse mai detto Travaglio, lo avrebbe carcerato per fiancheggiamento delle BR.
Noi, però, siamo in piena sintonia con il vulcanico neo ministro veneto: ha ragione! Siamo qui per aiutarlo, per concorrere a trovare qualcuno che potrebbe essere “colpito” per educare. Siccome siamo “collaborativi”, e non “ombra”, ci permettiamo di segnalare una lista di persone che, forse, andrebbero “rieducate”. Poi, decida lui com’è giusto che sia:
Paolo Scaroni, amministratore delegato dell’ENI: 10 milioni di euro.
Giancarlo Cimoli, che guidava Alitalia, una compagnia sull’orlo del baratro e intanto si portava a casa uno stipendio che valeva due milioni e 790mila euro, oltre a compensi vari finiti nel mirino della procura di Roma.
Roberto Poli, presidente dell’ENI: 2,8 milioni di euro.
Vittorio Mincato, presidente di Poste Italiane: 4,8 milioni di euro. Ricevette una buonuscita di 25 milioni di euro dall’ENI.
Elio Catania, ex presidente delle Ferrovie: 2 milioni di euro.
Piero Gnudi, Amministratore delegato dell’ENEL: 2,6 milioni di euro.
Alfio La Manna, vice presidente della società Esercizi aeroportuali di Milano: 2,26 milioni di euro.
Mario Draghi, Governatore della Banca d'Italia: 450 mila euro l'anno. Sembra quasi un poveraccio.
Corrado Calabrò, Presidente dell'Autority delle Telecomunicazioni: 440 mila euro.
Pierfrancesco Guarguaglini, Finmeccanica: 2,6 milioni di euro.
Forse i dati non sono aggiornatissimi, ma è difficile tenere il ritmo con questi signori che si spostano da una scatola cinese all’altra, da una holding di Stato ad una “consociata”, per poi ritornare dalla “mamma” e ripartire.
Cos’hanno concluso, questi signori, con le loro retribuzioni milionarie (in euro)? Poco o nulla, e qualcuno di loro ha condotto l’azienda che guidava nel baratro.
A fronte, troviamo i comuni lavoratori a 20.000 euro l’anno, i ricercatori pagati 800 euro il mese con contratti a termine, i precari che non arriveranno mai a mettere insieme una pensione decente per campare, nemmeno a 65 anni.
Ora, tutti sappiamo che la pubblica amministrazione non è certo un modello d’efficienza, che ci sono gli scansafatiche e chi s’accontenta di fare il poco che gli viene richiesto.
Qualcuno, però, si domanda: cos’hanno di fronte queste persone?
Gli esempi che osservano tutti i giorni non sono tanto i dieci signori citati, bensì migliaia, decine di migliaia di parvenu che occupano quei posti soltanto perché hanno ricevuto una raccomandazione, perché sono figli o nipoti di politici e cardinali.
Come reagiscono queste persone, osservando per decenni il teatrino di “chi tutto puote”, scorrendo la lista dei dipendenti RAI nei quali non ce n’è quasi uno che non sia riconducibile ad una parentela, familiare e politica?
E, se la pubblica amministrazione non funziona, la colpa è ovviamente degli impiegati di quarto livello?
Se in un azienda i risultati non sono quelli previsti – visto che si tira in ballo sempre il settore privato – chi perde il posto per primo, centinaia d’operai o i manager? Purtroppo, spesso entrambi, quando le responsabilità maggiori sono sempre di chi comandava, non certo di chi doveva eseguire.
Non prendiamo però troppo sul serio Brunetta, anche se lui ama definirsi un “professore bravo”: Brunetta, lasci che siano gli altri a dirlo, l’autoreferenzialità potrà essere segno di distinzione nella Casta, ma nel Paese reale è sinonimo di sicumera e spocchia. Non prendiamolo troppo sul serio le boutade di Brunetta, perché non è il solo a conoscere le strategie di marketing.
Dopo una vendita – e le elezioni, oramai, non sono altro, visto che non eleggiamo realmente più nessuno – c’è una fase nella quale l’acquirente deve essere convinto che ha fatto la scelta giusta. Così, Bossi tuona con la Libia, Maroni con i romeni, Brunetta con gli impiegati pubblici…e compagnia cantante.
Berlusconi & soci li lasciano fare, perché sono soltanto le comparse del grande circo veltro-berlusconiano: i veri attori, sono altrove.
Per questa ragione abbandoniamo Brunetta alle sue farneticazioni, mentre ci interessa molto sapere cosa farà Epifanio di fronte ai contratti triennali, alla maggior precarizzazione del lavoro, alle “semplificazioni” invocate da Montezum…pardon…Montezemolo, alle pressanti richieste di de-regolamentazione del lavoro, in un paese che si ritrova a contare ogni giorno quattro morti nelle fabbriche e nei cantieri.
Questo, perché – anche se non tutti se ne sono accorti – meno della metà degli elettori ha votato l’attuale governo e oramai un terzo degli italiani – vuoi per astensione (in gran parte cosciente), vuoi per i meccanismi della legge elettorale – non ha più rappresentanza politica.
Sono le stesse persone che hanno inviato, senza biglietto di ritorno, chi le ha tradite nelle isole degli ignavi: Epifanio ci mediti, perché le isole non mancano. Oggi a me, domani a te.