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Le grandi notizie richiamano l’attenzione dei media – sia di quelli di regime sia della controinformazione – ed è normale che sia così: chi non vorrebbe essere informato sulla crisi coreana o sulla destinazione della Task Force americana che è in viaggio verso il Golfo Persico?
E ancora: il Giappone rinuncerà a dotarsi d’armi nucleari? Bush considererà l’attuale risoluzione ONU (che non prevede l’uso della forza nei confronti di Pyongyang) come un “placet” per andarci lo stesso? Ci sarà un attacco all’Iran? La Siria sarà attaccata (o attaccherà) Israele?
Sulla scia delle grandi notizie ci perdiamo quelle piccole, brevi flash d’agenzia, robetta di poco conto. Apparentemente.
Così, il 15 di ottobre 2006 – sonnacchiosa domenica d’autunno – una piccola notizia appare sul sito dell’ANSA, relegata in un angolo, quasi un clic impossibile.
“I 200 uomini delle forze speciali francesi impegnate in Afghanistan lasceranno il Paese all'inizio del 2007. L'Eliseo e il ministero della Difesa non hanno voluto commentare la notizia. La decisione - secondo indiscrezioni stampa - sarebbe stata presa direttamente da Chirac. E i vertici militari britannici avrebbero esercitato pressioni sull'ex ministro Reid per trasferire in Afghanistan una parte del contingente dispiegato in Iraq.”
200 uomini? che volete che siano…niente: tre o quattro compagnie dell’Armée. Eppure, la notizia di quel piccolo ritiro di uomini è il fragore di un macigno per chi ha orecchie che ascoltano.
Ci torna alla mente la querelle italiana sull’Afghanistan: la richiesta americana – dopo l’annuncio del ritiro dall’Iraq – di aumentare la presenza italiana a Kabul, accompagnata dalla pretesa d’inviare addirittura i cacciabombardieri AMX, roba che serve soltanto a bombardare villaggi e strade.
Dall’altra, la (saggia) richiesta di uno sparuto gruppetto di parlamentari della sinistra d’iniziare anche là il ritiro: forte del diniego opposto all’aumento delle truppe italiane nel paese, l’Ulivo ha avuto buon gioco per eludere le richieste della sinistra. Avete visto che abbiamo detto di no a Bush? Però restiamo: in medio stat virtus.
A Parigi, invece, sembra che le mezze misure non vadano di moda e ritirano le truppe. Perché?
L’analisi che i francesi fanno della situazione afgana è evidentemente assai diversa di quella operata a Roma. Domandiamoci: alla Farnesina ed a Palazzo Chigi, avranno analizzato la situazione? Dai servizi d’informazione militare saranno giunti dei rapporti? Qualcuno sarebbe così gentile da raccontarci qualcosa?
Comprendiamo che le notizie riservate dei servizi non diventano carta stampata per tutti, ma quando il nostro vicino richiama improvvisamente le sue truppe in patria qualche motivo ci sarà pure. Noi che facciamo: aspettiamo i prossimi morti?
La situazione afgana è oramai sfuggita completamente di mano al controllo delle truppe NATO e, soprattutto, al governo dell’ex manager petrolifero dei Bush che siede a Kabul – Ahmid Karzai – il “sindaco di Kabul”, per evidenziare l’esteso controllo del territorio che esercita dalla capitale.
Le ragioni? Come mai, una guerra apparentemente vinta cinque anni fa, con i Taliban in fuga verso le aree tribali del Pakistan e la ricostruzione di un esercito afgano (cosa che deve ancora decollare in Iraq, e che probabilmente non avverrà più) apparentemente riuscita, porta la Francia a ritirare in gran fretta le sue truppe?
Perché fu vinta una guerra, ma fu persa la pace.
Le cifre delle recenti guerre portano impresso un marchio: quello della povertà.
Delle popolazioni locali? Ah, questo non stupisce: ciò che invece meraviglia è costatare la miseria delle truppe inviate in quei luoghi dall’Europa e dagli USA.
Mangiano bene, ovvio, hanno sufficienti rifornimenti di munizioni e carburante, ma – durante una visita “a sorpresa” di Rumsfeld in Iraq – giunse per il ministro della Difesa USA un’altra non gradita “sorpresa”.
Con tanto coraggio – evidentemente messo da parte nei momenti di paura, quando avevano dovuto raccattare i poveri resti di un proprio commilitone – alcuni graduati ed ufficiali spiattellarono a Rumsfeld le loro lamentele: perché i giubbotti anti-proiettile si rivelavano di scarsa qualità e non riuscivano a fermare le pallottole? Perché non giungevano rifornimenti dagli USA, al punto che avevano iniziato a raccattare pezzi di blindatura dai veicoli distrutti per riparare quelli colpiti ma ancora efficienti?
Quanto sono lontane queste parole dalle immagini delle truppe americane vittoriose in Italia! Come stridono con i giovanotti del Kansas che gettavano cioccolato e sigarette alla folla plaudente!
Negli ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale, un caccia germanico riuscì ad abbattere un velivolo da trasporto americano che si schiantò nella parte di Francia ancora occupata dal Reich tedesco: l’ispezione rivelò che era carico di torte al cioccolato.
L’amara conclusione alla quale giunsero i generali tedeschi fu: qual è la reale forza del nemico – la sua capacità di ricevere rifornimenti e truppe fresche – se si può permettere il lusso d’inviare un velivolo dall’America all’Europa soltanto per portare torte al cioccolato alle truppe?
Può darsi che i militari occidentali in Afghanistan mangino torte al cioccolato: sicuramente non le mangiano gli afgani.
La ripartizione dei fondi per la missione “Antica Babilonia” italiana in Iraq è sempre rimasta la stessa: circa il 94% per la missione militare ed il 6% per gli interventi di ricostruzione e per l’assistenza alla popolazione.
Le cose non sono andate diversamente in Afghanistan – dove gli americani promisero addirittura faraoniche autostrade – ed oggi gli afgani possono toccare con mano le promesse non mantenute, la miseria di sempre, e sono tornati alla loro “occupazione” tradizionale (scomparsa sotto i Taliban), ovvero alla coltivazione del papavero da oppio. Con tutti i guai che si ritrovano le truppe straniere in Afghanistan, figuriamoci quanto può interessare loro il traffico di droga; strana coincidenza però: quando c’erano da combattere i russi il traffico d’oppio andava a gonfie vele, poi vennero i Taliban e fu estirpato, tornarono gli occidentali e riprese. Verrebbe quasi da credere che qualche amministrazione occidentale non sia così “indifferente” agli alti profitti del traffico dell’oppio. Sarà un buon “investimento”? Chissà…
Mancando un forte supporto per l’assistenza alla popolazione – che in Afghanistan è sottoposta da decenni alle angherie della guerra – gli afgani si sono rivolti a chi poteva fornire quel poco di cui hanno bisogno: non è forse vero che dove manca lo Stato, in Italia, ci si rivolge alla camorra ed alla mafia?
Anche gli afgani non hanno tardato a trovare qualche buon “benefattore”: i tanti “signori della guerra” afgani che vendono i loro servizi al miglior offerente ed i Taliban di sempre, ovvero l’etnia pashtun, che è la più diffusa nel paese.
Per mantenere i derelitti, i poveri “signori della guerra” si sono visti costretti a non inviare più i soldi delle tasse a Kabul: Ahmid, abbi pazienza, per ora me li tengo…poi si vedrà…ah, se vuoi venirteli a prendere con la forza sappi che li ho investiti in lanciarazzi, lanciamissili, bombe, fucili…
Il “generale” Dostum che “regna” sui tagiki – ex paracadutista sovietico – non invia più a Kabul da anni i proventi dell’estrazione del gas – presente non in gran copia ma pur sempre una risorsa nella parte settentrionale del paese – così come si “dimentica” dei dazi doganali e del commercio delle pietre preziose con il vicino Tagikistan (ex repubblica sovietica). Ci sono degli smeraldi Ahmid? Ma va?
Il povero Karzai sta meditando d’impegnare al Monte dei Pegni anche la sontuosa sottana di seta con la quale cerca di mascherare il vestito all’ultima moda occidentale che indossa: probabilmente, qualche prezioso “Armani” è rimasto nel suo guardaroba dai tempi nei quali volava ad acquistare petrolio per George II, passato dalla trivella al 1600 di Pennsylvania Avenue.
Cosa chiede Dostum – così come gli altri signorotti feudali – ai suoi “assistiti”?
Per carità…niente di così impossibile: obbedienza, obbedire e basta. Come nelle migliori mafie del pianeta.
C’è da far saltare per aria un convoglio rompiscatole, che viene a mettere il naso nei nostri affari? Chi sono? Canadesi, italiani, americani, inglesi…non importa: sono o non sono dei rompiscatole? Sapete cosa fare.
Al sud, invece, regnano indisturbati i Taliban, che hanno nelle aree tribali del Pakistan la più rifornita retrovia che possano desiderare: una vera e propria “Svizzera” del malaffare e delle armi, dove nemmeno Musharraf osa mettere il naso, altrimenti salta lui, mica Osama od Ayman.
Per mettere fine a questo pessimo andazzo, il comando NATO ha meditato di combattere per primi i Taliban, che sono ritenuti la minaccia più pericolosa. Anche Dostum non scherza, ma ha stretti rapporti con i tagiki d’oltre confine (ex sovietici) i quali continuano ad intrattenere rapporti con Mosca…meglio lasciar perdere…
Che si fa allora per combattere i Taliban? S’invia il 7° Cavalleggeri in avanscoperta? Le “Giubbe Rosse” britanniche?
Troppo pericoloso, oltretutto non ne abbiamo un gran che di soldati da inviare in quelle aree: meglio l’aviazione, fa fine e non impegna. Per questa ragione Bush ci aveva chiesto gli AMX.
Con gli aerei e gli elicotteri – però – si finisce per sparare nel mucchio, si radono al suolo interi villaggi, si mitragliano colonne di persone senza poter chiedere loro la carta d’identità. Così, quando s’ammazzano un po’ di persone delle quali si sa poco o niente, diventano tutti “terroristi” e si può fare un bel comunicato nel quale s’afferma d’aver ucciso…57, 83, 158…Taliban…guerriglieri…insomma, gente pericolosa, almeno credo…
“Almeno credo” lo cancellano dai messaggi i comandi a Kabul, e così la notizia è confezionata: stiamo vincendo, li ammazziamo a dozzine.
Dall’altra parte – quella di chi cammina a terra – la notizia è invece che un elicottero è passato sulle loro teste proprio mentre stavano andando al matrimonio della sorella, oppure si recavano per affari in città. Eravate armati? Ma che domanda: certo! Chi è quell’idiota che non viaggia armato in Afghanistan, con tutto quello che succede! Sembra d’ascoltare le giustificazioni di un benzinaio di Scampia.
Il risultato – potremmo concludere – è una “carenza di comunicazione”, ossia quelli che sono persone per alcuni diventano guerriglieri per altri, mentre quelle che sono truppe “di pace” per taluni si trasformano in eserciti d’occupazione per altri ancora.
Questi “altri”, sono oramai la gran parte della popolazione, complici gli atteggiamenti “western” degli americani che non hanno esitato a sparare sulla folla – a Kabul qualche mese fa – per delle rimostranze nate da un incidente stradale. Un blindato americano era “passato sopra” ad un taxi afgano e non s’era nemmeno fermato: aveva l’assicurazione scaduta? Non l’aveva per niente?
Un leitmotiv oramai accettato da tutti è che gli USA sono efficientissimi a vincere le guerre, ed altrettanto bravi nel perdere la conseguente pace.
Gli esempi si sprecano: dal madornale errore di “licenziare” in tronco l’esercito iracheno – lasciando senza risorse per vivere gente abituata a combattere! – all’esclusione degli iscritti al partito Baath iracheno dai pubblici servizi. Solo per scoprire il giorno dopo che tutti i medici iracheni erano forzatamente iscritti al partito di Saddam, e che gli ospedali iracheni era diventati improvvisamente deserti.
Domandiamoci: perché “perdono la pace”?
Poiché – da quando mondo è mondo – il vincitore di una guerra può sì affermare la propria forza con delle vendette o dei processi, ma questa fase deve essere breve: al più presto diventa esiziale mostrare il sorriso alla popolazione vinta, per far capire loro che hanno sì perduto una guerra, ma che il loro livello di vita non potrà che migliorare. Basterebbe prendere qualche lezione dai Romani o dai Britannici (imperiali).
Ora, cerchiamo negli ultimi vent’anni un’area del pianeta dove questa regola mai scritta, ma accettata da tutte le diplomazie, si è avverata.
I Balcani? Andate a chiedere ai Bosniaci od ai Serbi di quanto hanno migliorato il loro standard di vita. Oppure ai libanesi? Agli iracheni? Ai palestinesi? Agli afgani?
Le guerre vinte con lo strapotere militare mascherano la povertà di risorse economiche dell’Occidente, che è là per rapinare le ricchezze minerarie di quei paesi, non per portare miglioramenti economici, che sono essenziali per il quieto vivere democratico. Il sempre caro Presidente Pertini, ricordò che s’inizia a dissertare di democrazia “con la pancia piena”.
Come potrebbe l’Italia – alle prese con Finanziarie che sembrano dei camposanti più che dei luna park – permettersi il lusso d’inviare miliardi di euro in Afghanistan per la ricostruzione dopo un trentennio di guerre? Potrebbero farlo gli USA con il loro debito interno ed estero oramai stratosferico?
Se non si hanno sufficienti risorse per vincere la guerra – ma anche la pace – è meglio non infilarsi in avventure dal triste e previsto finale. Non ci piacciono i Taliban, che eseguivano le condanne a morte in piazza sgozzando la gente? Ed a chi piacciono queste cose?
Non vogliamo che le donne afgane portino il burka e che siano discriminate? Il burka è affare loro, ma la discriminazione non piace a nessuno.
Possiamo cambiare le cose? Siamo in grado di sconfiggere contemporaneamente i Taliban e le milizie dei feudatari afgani? La risposta è limpida come l’acqua: no.
Se invece rimaniamo in Afghanistan per una questione geopolitica – ovvero per occupare il centro dell’Asia e “governare” il commercio dell’energia, Cina sì, Cina no, oleodotto OK, oleodotto KO – bisognerebbe raccontare che stiamo là per evitare che i cinesi s’accaparrino il petrolio del Kazakistan e del Caucaso. Dirlo chiaro: mandiamo i nostri soldati a morire solo per occupare qualche pietraia, soltanto per “giocarci” la nostra parte negli ultimi 50 d’estrazione petrolifera, per sostenere il titolo dell’ENI.
Purtroppo anche questo obiettivo – chiamiamolo “minimale” – sta svanendo sotto i nostri occhi: altro che democrazia, in Afghanistan sta avanzando il peggior Medio Evo.
Se ce ne andassimo “tutto precipiterebbe”? E cosa può ancora precipitare, peggio di così?
Forse qualcuno inizia a rendersene conto. Che a Parigi ci leggano?