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Il copione algerino

Scorre il sangue a Gaza: come se fosse una novità. Apparentemente, si scontrano palestinesi contro palestinesi. Apparentemente.

In realtà, giunge a compimento l’ennesimo atto di un disegno strategico che ha oramai anni di sedimentazione, almeno dalla morte di Arafat, più verosimilmente dall’inizio della seconda Intifada.

Affermare che si compia un destino sarebbe, in verità, fuorviante: dietro ad ogni mattone di Gaza scheggiato dalle pallottole, dentro i muri a secco infarciti dalle schegge delle granate non si compie mai nulla. Al massimo, si svolge un atto, una parentesi.

Nessuna nemesi, né “notti dei lunghi coltelli”: non siamo a Berlino né a Mosca, siamo nell’eternità dove tutto è scritto e – al massimo – si scrive un capitoletto per vivacizzare la cronaca.

Chi vincerà? Domanda retorica. Non è una partita di pallone e nemmeno una competizione politica: questo è Vicino Oriente, un posto dove la catarsi rivela sempre un’appendice nascosta, dove non nascono e né muoiono vere Arabe Fenici. Qui, eventualmente, si va in replica.

 

Ricordo un impettito Arafat, che porgeva omaggio alla salma di Tito, nel 1980: la disperazione d’apparire normale fra tanti normali capi di Stato. Un capo di Stato senza terra che ha vagato – piccola mezzaluna rossa, fra le stelle cadenti del Patto di Varsavia – per mezzo secolo nelle sue farneticazioni. Già vaneggiava insieme ad Andreas Baader in un ospedale della decrepita RDT: letti vicini, identiche polmoniti. Due frazioni dell’Armata Rossa: la prima lanciata verso il suicidio dell’autunno tedesco, la seconda apparentemente più concreta, se esistesse qualcosa di tangibile nello sfaccettato suk medio orientale.

Da quella storia, a Fatah rimase impressa come un marchio l’elefantiaca necessità di copiare l’organizzazione burocratica: la “normalità” di Fatah e di Arafat, altro non è stata che lo scopiazzare Jaruzelskj o Ceausescu. Una kefiah ed una pistola al fianco, come un sigaro ed una pistola all’Avana.

Anche nel Vicino Oriente cascano i Muri, ma non ci sono eredi, né un PDS che prenda il posto di un PC svanito nella nebbia. Anche perché non c’è mai nebbia nella fogna a cielo aperto di Gaza, e non si può nascondere nulla dietro agli asini scheletrici che vagano sulle polverose strade della Cisgiordania.

Allora si va in replica, all’infinito.

 

Nasce, però, Hamas. Non nasce da una costola europea od americana: nasce con i soldi di Ryad, è roba loro. Per anni, i medici di Hamas – mentre gli uomini di Arafat scorrono virilmente in parata – sono gli unici ad assicurare uno straccio di sanità fra la gente. Acquistano credito.

Quando il vuoto carapace di Fatah inizia a decomporsi, s’impongono democraticamente: come il Fronte Islamico in Algeria, ma le carte da giocare non sono quelle, così sentenziano le cancellerie europee. Come ad Algeri, le nere guardie dei corpi speciali preparano fucili di precisione e corde per impiccare.

Fin quando Fatah fucila fantomatiche spie, ci si volta dall’altra parte – avranno pur diritto, anche loro, a possedere una piccola Lubjanka? – e, quando liquidano una buonuscita miliardaria alla vedova di Arafat, la cosa appare del tutto normale: non era forse una first lady?

Sì, la first lady di un paese virtuale: ma non effimero perché inesistente sotto l’aspetto formale. Evanescente perché quei miliardi suonano come uno sberleffo, per i bambini di Gaza che bevono acqua sporca.

 

Garantire, garantire, garantire: ecco il leitmotiv delle cancellerie europee. Bisogna “garantire” fedeltà, anche al costo di una normale corruzione: è pur sempre il segno della loro vicinanza ai nostri civili sistemi politici!

Sharon era un vecchio marpione: sapeva che Marwan Barghouti poteva rappresentare una sintesi, e se lo tenne incatenato nel Neghev. Olmert, invece, non ha capito nulla e chiede una forza multinazionale di pace: il Libano lo ha traumatizzato, vede Hezbollah in ogni manto nero che cammina in strada.

Niente paura, perché qui non ci sono sciiti né Persi: qui sono arabi, levantini, non orientali! Qui è “Vicino” Oriente! Fino all’ultimo giorno della sua presidenza, Bush tenterà l’azzardo iraniano: là c’è un pericolo reale. Pur con tutti i limiti di quel regime, là c’è elaborazione politica, qui soltanto un giro di comparse.

Il futuro? Un nuovo decennio d’ordinaria follia. Con qualche fresca ciliegina, al tritolo, che rischia di mandare in malora l’intero pranzo.

Eh sì, perché Hezbollah – in Libano – rifiutò più volte “l’aiuto” proposto dai sunniti dei campi profughi: Nasrallah, non solo non li volle, ma li dotò anche di una “guardia” di protezione. Li isolò.

Anche Hamas è riuscito, finora, ad isolare il terrorismo di matrice pakistana: quando gli israeliani accusano Hamas d’essere pari ad Al-Qaeda, sanno di compiere uno dei loro giochetti. Perché? Poiché il terrorismo pakistano non è mai riuscito a dilagare da quelle parti: anche Hamas si è servito dei terroristi suicidi? Vero, ma anche gli elicotteri con la stella di David non scherzano. Proprio da quelle parti, un tizio inventò una massima piuttosto nota: “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”.

 

Domani, a Gaza, potrebbe essere tutto uguale: con i rubinetti a secco, i soliti camion con motori evanescenti che contrabbandano di tutto dall’Egitto, i soldati israeliani che si prendono la loro parte per chiudere un occhio. Business is usual.

Potrebbe però aprirsi una falla – in guerra succede, non sai mai veramente chi è il tuo vicino in trincea – e Al-Qaeda, Ansar–al–Islam o chi per esso potrebbe vivacizzare la situazione, sempre a colpi di tritolo, perché quello è l’unico copione, la sola lingua conosciuta. Il copione iracheno, però, sta conquistando sempre nuovi attori fra i giovani senza terra e senza domani dell’immensa periferia palestinese.

I sogni europei, di rivitalizzare gli ultimi epigoni della guerra fredda, stanno andando in frantumi, così come il fumoso miraggio di un movimento islamico in giacca, cravatta e bandiera verde. Qui non sono Persi, non sono sciiti: questo è il Vicino Oriente, dove tutto è scritto, da sempre.

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