Homepage    Chi sono   Libri pubblicati   Attività letteraria  Articoli Pubblicati  Libri in Pdf Link  Posta  Blog

 

Il crepuscolo degli Dei

…e gli uomini…

col sangue dei concittadini ingrossano le proprie sostanze

e avidi raddoppiano le ricchezze, accumulando strage su strage;

crudeli si rallegrano del triste funerale di un fratello…”

Lucrezio Caro, De rerum natura, Libro Terzo.

 

Che il vento stesse per cambiare, me lo raccontò il vento stesso: iniziò a spirare da Tramontana, freddo, tagliente, come per annunciare che il tempo dell’espiazione stava giungendo.

Sono pochi chilometri da casa a scuola, venti minuti di strada, ed è il momento della giornata nel quale i pensieri m’assalgono a frotte, mi subissano, disordinati.

Perché mai il vento sussurra ch’è tempo d’espiare?

Quando la barriera razionale nella mente pare insuperabile, meglio affidarsi alle parole, poiché le parole non sono soltanto pietre: sono anche petali, senza i quali non si giunge a racchiudere nessun fiore.

Potremmo nutrirci con il termine israelita salakh, ma dovremmo associargli – allora – il peccato: vale la pena, in una mattina di fine estate, d’impegolarsi con secoli di filosofia scolastica?

No, meglio lasciare Yom Kippur – con il suo bagaglio di terrori ed ossequi per un Dio patrigno – ed abbeverarci alla fonte greco-romana, laddove l’espiazione non era un processo penitente, bensì un atto positivo, per ingraziarsi una divinità e portarla al nostro fianco. In sostanza: non chiedere perdono, bensì aiuto, benevolenza.

E perché mai dovremmo farlo? A dire il vero non lo so con precisione: me lo ha sussurrato il vento e basta, proprio mentre aprivo la portiera dell’auto. Come la piuma di Forrest Gump.

 

La prima persona che incontro, nel tragitto, è un attacchino che gratta con il raschietto un manifesto pubblicitario: l’icona di una potente catena distributiva se ne va, scivola lentamente nel secchio dove galleggiano motti di carta, sopra l’acqua sporca di colla e solventi.

Sic transit gloria mundi…no, troppo semplice…però, il manifestarsi degli eventi non può trascendere i sensi…e l’impressione che ho colto è stata proprio quella dell’annullamento, dell’inarrestabile lisi.

Basta, Bertani, piantala con queste elucubrazioni da scemo: a quel messaggio se ne sostituirà un altro, l’attacchino tornerà con nuova carta, altra colla, e così per sempre, nei secoli dei secoli. A dire il vero, “in saecula saeculorum”, riferito al business pubblicitario, mi fa sorridere, ma c’è una rotonda da doppiare e devo stare attento a non sbattere. Istanti, altro che secoli.

In fin dei conti è solo economia: l’economia sancisce l’ascesa e la caduta di quei rettangoli di carta sulle piattaforme di metallo, e l’attacchino esegue e basta. Fine.

 

Già, ma il termine “economia” significava originariamente “conduzione della casa” e, se l’economia diventa un fatto planetario, essa assume il significato (per ora, solo etimologico) di “conduzione del pianeta”.

Fin troppo facile conclusione: per come lo stiamo “conducendo”…

La seconda, ed ultima icona che osservo prima di giungere a scuola, è il prato dell’antica tenuta che confina con l’altrettanto antico liceo: diligentemente, ai primi sentori d’Autunno, un contadino ha collocato, ad intervalli regolari, mucchi di letame per concimare il prato. Ovvio, terminata la fienagione, è tempo di preparare la terra per una nuova stagione di raccolti. In saecula saeculorum.

Ciascuno partecipa come può e come deve: Brahma, Vishnu e Shiva s’infondono nell’attacchino che incolla, controlla e poi stacca i manifesti. O nel contadino che concima, accarezza l’erba con il rastrello ed infine la falcia. Tutto ha un senso, economico.

 

Giunto a scuola, precipito nei riti d’inizio anno: dai giovani da conoscere ai “vecchi”, che ti vorrebbero far sentire giovane come loro e, invece, ti ricordano solo il peso di una nuova Primavera sulle spalle.

Ho però un’ora libera (evento oramai raro…) e leggo il giornale sul Web.

Credevo che la notizia di testa fosse Alitalia, che è invece scesa nella classifica: in alto, c’è la novità che Lehman Brothers è fallita. Mi chiedo cosa possa significare.

Si tratta di una banca: una banca che fallisce, vuol dire che non ha più soldi, altrimenti non fallirebbe. Lo raccontava già Mary Poppins…

 

La banca Lehman Brothers ha “bruciato in Borsa” 900 miliardi di dollari (Repubblica, 15/9/08): sembra una quantità impressionante di beni, se corrispondessero a qualcosa. 900 miliardi di dollari corrispondono, all’incirca, a 45 milioni d’autovetture di media cilindrata, a 900 milioni di computer, a 3 miliardi di sacchi di patate da un quintale.

Da oggi in avanti, “mancheranno” beni corrispondenti al mercato europeo dell’auto, a quello USA dei PC, a decine di navi cariche di patate?

Non sono un economista – e, per cos’è diventata l’economia, ringrazio il Cielo di non esserlo – ma non penso che, da oggi in poi, non ci saranno più auto in Europa e computer negli USA, ed ho anche la ragionevole speranza di non dovermi privare, dopodomani, delle amate patatine fritte.

Semplicemente perché, un contadino che ben conosco, continuerà a seminarle ed a rifornire il negozio sotto casa.

 

Poi, c’è la vicenda Alitalia. Ma, Alitalia – se non sbaglio – non è quella “cosa” composta da aerei, piloti, hostess e personale di terra che porta la gente a spasso per il cielo? Se, poniamo, domani o fra cinque anni, Alitalia si dovesse chiamare Alinostra, Alipizza od Alicozza, se avesse gli stessi dipendenti ed aerei e continuasse a fare il suo mestiere, non sarebbe la stessa cosa?

Ora, qualcuno più “furbetto” dirà che manca il piano industriale, ci sono i debiti, eccetera eccetera…

Qualunque sia il futuro dell’universale imputato oggi come “Alitalia”, scommettiamo che – dopodomani, oppure il mese prossimo – ci sarà gente che rileverà quegli aerei, farà nuovi contratti con il personale e porterà gli italiani in cielo? Chiariamo: è una scommessa da bar, mica roba seria, da Lehman Brothers.

In realtà, il problema non è il destino di Alitalia, ma solo del piatto di poker che i “cordatari” hanno deciso di giocare. Sulle spalle dei lavoratori? E dai, non fare il menagramo…chi se ne frega di quelli…rilancio di 20 milioni…

 

Il dilemma, cui pochi sembrano interessarsi perché siamo oramai subissati di cattiva informazione, è che un conto è l’economia reale, un altro quella virtuale. Le quali sono, attualmente, in rotta di collisione.

In lontani tempi storici, vi furono avvenimenti almeno un poco paragonabili, ma l’oggi è qualcosa di veramente diverso e nuovo: non dal punto di vista concettuale, bensì per le forze dei numeri in gioco.

I Romani, imposero all’Egitto la canalizzazione delle acque e di smetterla con il tradizionale allagamento che il Nilo operava sulla pianura egiziana: fu una presa di posizione ideologica e dogmatica, ed il crollo della produzione di cereali in Egitto fu uno dei prodromi della successiva caduta di Roma. Siamo però, ancora, nel mondo reale: meno navi di grano per Roma, meno legioni in giro per l’Europa.

 

Un altro esempio fu l’immissione dell’oro americano in Europa nel XVI secolo, che causò il primo “terremoto” nel prezzo delle derrate alimentari: le conseguenze furono forse (storicamente) meno traumatiche, ma si protrassero per molto tempo, e fu probabilmente il primo “campanello” d’allarme.

In sostanza: quando s’interviene con mezzi finanziari e monetari, non sono le perdite od i guadagni finanziari ad essere “interiorizzati” nella storia del pianeta, ma solo i riflessi sull’economia reale. I “grandi”, sembrano non imparare nulla dagli errori del passato: solo quando una devastante guerra od una carestia li obbliga – timorosi dei forconi dietro la porta dei poveracci – a prenderne coscienza della realtà, abbandonano per un istante i loro giochetti. Pronti, però, a riprenderli alla minima disattenzione del popolino: pronti a fare “orecchie da mercante”, appunto.

 

Cosa rappresentano, allora, quei 900 miliardi di dollari “lasciati sul terreno” da Lehman Brothers?

E’ bene dire “lasciati sul terreno” poiché – non trattandosi ovviamente del terreno di una battaglia – si tratta di un terreno di gioco. Una confraternita di banchieri e di loro lacché – i broker – decisero d’iniziare a giocare una partita a Monopoli, oppure – se preferite – come Robin Williams aprirono il più pericoloso Jumanji, e lanciarono i dadi. Dopo, non ci si può più ritirare.

Le regole del gioco sono complesse e variano continuamente, ma è soltanto un gioco: ci sono autorevoli esperti, sul Web, che lo spiegano compiutamente.

In sintesi, i giocatori che siedono al tavolo iniziano una catena di scommesse su tutto, dall’estrazione di petrolio al consumo di preservativi. Poi, assegnano un valore ad una scommessa e la rivendono ad altri – se si correrà di meno in macchina o si scoperà di più, oppure se si scoperà in macchina (nel caso, un mercato “incrociato”, più scommesse!) – scommettendo che il valore di quella scommessa lieviterà fra sei mesi, e via con la catena delle scommesse e dei cosiddetti “derivati”, o scommesse sulle scommesse delle scommesse.

Non si tratta, ovviamente, di una cosa seria: quando mai, il Totocalcio è stato ritenuto un fondamentale dell’economia? E’ solo una scommessa…un piccolo divertimento del sabato…

 

Tutto questo frullar per l’aria di timori, catastrofi imminenti, cassandre ed ottimisti – da quelli che considerano il pianeta oramai definitivamente fottuto a causa di Lehman Brothers e compagnia varia, a coloro i quali tranquillizzano, affermando che l’Europa è protetta da un preservativo di bronzo contro le avventure americane – nasconde e quasi mai affronta i problemi dell’economia reale.

Ad esempio, nessuno – di qua e di là dell’Atlantico – ha preso in seria considerazione gli effetti della produzione di biocarburanti.

 

I calcoli eseguiti dall’Università di Berkeley (Altieri) mostrano una realtà desolante: mettendo a coltura tutti i terreni coltivabili a soia e granturco degli USA, si giungerebbe a soddisfare l’attuale richiesta statunitense per il solo 12% della benzina e del 6% per il gasolio. Trasformando l’intero consumo di cereali europeo (e, dopo, cosa mangeremmo?), giungeremmo pressappoco a soddisfare la metà del fabbisogno energetico per autotrazione (Coldiretti). Nonostante gli avvertimenti di serissimi istituti, la “bufala” dei biocarburanti deve proseguire, giacché alcuni grandi petrolieri, uniti a potenti lobby agrarie ed ai produttori di sementi OGM, hanno decretato che domani si dovranno chiamare “bio-petrolieri”. “Fa fine”, e nuovi guadagni, sui quali intessere nuove scommesse.

 

Conosciamo da tempo la motivazione di queste scelte: trattandosi di un pianeta con dimensioni finite, le quantità prodotte sarebbero finite, come per gli idrocarburi, e quindi ci sarebbe un mercato finito sul quale giocare, per poi scommettere sulla scommessa…

Sull’infinito delle energie rinnovabili, chi potrebbe scommettere qualcosa?

Eppure, la perversa meretrice dei biocarburanti ha causato effetti nell’economia reale ben più gravi di cosa potranno combinare quattro miliardari che scommettono se, domani, avranno un miliardo in più od in meno.

Quanti poveracci sono già morti, o moriranno a breve, per l’aumento dei prezzi dei cereali? 75 milioni in più dello scorso anno (FAO, 17/9/2008), testimoniano che siamo diventati bravissimi nel prevedere addirittura quanti moriranno di fame nel breve, medio e lungo periodo. Chi va in giro per hard discount, avrà notato che, anche qui da noi, i pensionati a “pane e latte” non stanno tanto bene.

Ovviamente, qualche pretoriano statunitense della Lehman Brothers – un povero broker – tirerà fuori dal cassetto la Smith & Wesson, la accarezzerà, bacerà la foto con la moglie ed i figli e si sparerà un colpo alla tempia, per incassare per tempo il premio dell’assicurazione sulla vita. Per loro, non è Monopoli: è Jumanji.

 

D’altro canto, anche i pretoriani di Roma morirono a causa delle mancate inondazioni del Nilo, ma gli antichi erano più attenti nell’osservare la natura, i suoi cicli, le sue bizzarrie, i pericoli.

Avevano l’ossessione di conoscerla per comprenderla – pensiamo (soltanto) al De Rerum Natura di Lucrezio Caro ed ai mille commentari che ne sono discesi – e, quando decidevano di giocare d’azzardo, lo facevano allegramente alle terme, mica pretendevano di governare l’impero con un lancio di dadi!

I cinesi, a loro volta, furono i più raffinati scrutatori del cielo e redassero il più antico compendio – tuttora molto consultato – che cerca d’interpretare la natura mediante il calcolo binario, ossia l’I Ching.

Di là degli aspetti divinatori, la raffinatezza di un testo come l’I Ching ci pone di fronte ad una riflessione metodologica: quanto può essere benefico, per l’uomo, comprendere la natura nel suo sfaccettato mutare, oppure chiudersi in un microcosmo al trentesimo piano di un grattacielo, cercando d’interpretare – e di piegare! – la natura per delle semplici scommesse?

Inoltre, snobbare l’essenza della natura, ci conduce a non comprenderne i fondamentali aspetti ciclici: tutto, in natura, ha una fine ed un inizio. Ma, la fine, è un nuovo inizio, ed allora non c’è più nascita e morte, ma solo ri-nascita e ri-morte.

Come agiamo, invece, noi – esseri intrisi di certezze intonse – che non osserviamo più niente e pontifichiamo? Sotterriamo rifiuti, celandoli alla vista, e crediamo così che la nostra azione li sottragga al volgere naturale degli eventi. Solo dopo aver trovato diossina nelle mozzarelle ci domandiamo qualcosa, ma la domanda è spesso retorica, perché immediatamente ricoperta da una rinnovata glassa di certezze, sbobinate all’istante dal funambolico clown dell’informazione.

Possiamo dunque affermare, così come per la merda nascosta e dunque per noi inesistente, che il denaro possa impennarsi in un pazzo salire al cielo, per riflettersi in dorati echi di cornucopie, fino a divenire un’iperbole senza limiti? Dalla quale ricavare ricchezza infinita per sempre, per eoni, per interi universi?

Tutto ciò, per dirla in termini giudaico-cristiani, è “privo di peccato”?

 

Ciò che il vento tentava di narrarmi – il bisogno di un’espiazione – sorge forse dalla violenza che operiamo sulla natura e su noi stessi, perché abbiamo ridotto le nostre attività di creazione a lavoro parcellizzato e spersonalizzante. Per reggere questa primitiva violenza, siamo dovuti ricorrere ad una seconda mistificazione: “aggiustare” una serie di mediocri principi per costruire intorno ad essi una inconcludente teoria del valore, delle monete e delle merci, la quale ci ha condotti a considerare creazione di ricchezza una semplice serie di scommesse. Una partita ai dadi, un tempo semplice divertimento, ha rubato il proscenio alla riflessione analitica, ipnotizzando le platee con un perfido inganno.

 

Oggi, lo scenario tecnologico è rapidamente mutato e, per la prima volta nella nostra Storia, non siamo soltanto in grado d’assegnare a muscoli meccanici le attività più faticose, bensì possiamo anche contare su affidabili sistemi d’intelligenza artificiale.

Una nuova alba potrebbe quindi apparire all’orizzonte dell’umanità, ma si frappone ad un futuro – che potrebbe essere senz’altro migliore – la mistificazione, e finiamo sempre nei trabocchetti senza ritorno, negli angoli più oscuri di un orizzonte evanescente.

E’ possibile trovare soluzioni? Una nuova teoria del valore e, di conseguenza, forme di lavoro più appaganti e, soprattutto, più elastiche e meno affaticanti?

Non si tratta certo di un percorso facile: per questa ragione, ho introdotto la trattazione iniziando dal tema dell’espiazione. Senza rimuovere prima le macerie, è impossibile ricostruire.

 

Non saranno certo queste poche righe a modificare il maleodorante scenario che c’accompagna: è però altrettanto vero – per l’infallibile interdipendenza dei fenomeni – che qualsiasi azione (karman) gettata nell’evolversi degli eventi è destinata a modificare l’orizzonte degli stessi, ovvero la catena di cause ed effetti che ne discendono. Impercettibilmente, ma inesorabilmente.

Immaginiamo, per pochi attimi, d’aver espiato questo tempo della cancrena e dell’inganno – nel positivo approccio greco/romano, non come inconcludente “mea culpa” – ed osserviamo se possiamo almeno porre limitate basi.

 

Anzitutto, è del tutto evidente che una nuova teoria del valore deve tornare ad assegnare alle monete un valore che sia quanto meno coerente con la realtà: l’oro è oramai improponibile, le conchiglie nemmeno.

Il gruppo “Etleboro” – che già si occupò di questi problemi – ritiene che si potrebbe assegnare ad una futura moneta un valore reale, calcolato sulla base della ricchezza effettivamente prodotta in un’ora di lavoro da un lavoratore medio.

Il tentativo è lodevole, saltano però agli occhi alcune difficoltà che sembrano difficilmente superabili: “ricchezza” può dar adito a diverse interpretazioni, mentre “lavoratore” (per di più, “medio”…) sembra un universale troppo ampio, e quindi di laboriosa definizione.

 

Un secondo approccio potrebbe nascere dalle necessità primarie dell’uomo: la prima, è nutrirsi.

Una nuova moneta, potrebbe essere valutata partendo dall’alimento base prevalente nell’alimentazione umana, ossia i cereali (ovviamente, “depurati” dalla “bestemmia” di trasformarli in energia): una media fra i valori dei principali cereali, potrebbe condurre – questo vuol essere solo un semplice esempio – ad assegnare ad un ipotetico “Grano” il valore di un kg di frumento, oppure di 800 grammi di riso, orzo, sorgo, mais…utilizzando fattori di conversione su base scientifica, tratti dal potere nutrizionale, ecc.

Ovviamente, non si tratterebbe di un valore stabilissimo, poiché differenti annate agricole provocano diversi raccolti, ma – se consideriamo almeno il medio periodo – la produzione cerealicola è abbastanza costante, con un trend in leggera crescita, progressivo da molti anni.

Sarebbe una moneta forse un po’ “naif” – e vedo già qualcuno storcere il naso – ma il suo valore sarebbe ancorato a qualcosa di tangibile, reale e diffuso: non come l’oro che è raro, e dunque catalizzatore dei monopoli. Meno che mai, l’assurda credenza (dopo la fine di Bretton Wood) che il “metro” con il quale misuriamo gli scambi economici possa essere oggetto – anch’esso! – di scommesse. Scommettiamo che il metro di platino di Sèvres è più lungo di due centimetri? Che la mia bilancia, domani, peserà due etti in più della tua? Un po’ di serietà.

 

L’aumento costante della produzione cerealicola, che avviene da parecchi decenni, per mantenersi avrebbe bisogno di due presupposti: il primo, già citato, è la preclusione alla conversione energetica delle derrate alimentari. Il secondo – meno dibattuto – è la riconversione alle energie rinnovabili poiché, senza nuovi carburanti in grado di muovere le macchine agricole del futuro, non sarà possibile – quando il petrolio scarseggerà – mantenere l’attuale produttività in campo agricolo.

Inoltre, la variazione della massa monetaria, corrisponderebbe esattamente alla quantità del bene primario necessario alla sopravvivenza: non è certo la perfezione, ma è già qualcosa.

Può apparire una soluzione puerile, ma sarebbe una moneta più stabile (nonostante le variazioni della produttività agricola) di tutto il bailamme che ci ammansiscono come un compendio di “cose” e “valori” “stabili ed incontrovertibili”. Cosa c’è di più “serio”, fra un campo di frumento che occhieggia al sole ed una banca che vive di scommesse?

 

Se volessimo strafare, ossia compiere un volo pindarico, potremmo ipotizzare che l’aumento costante di produttività, generato dall’incremento tecnologico, vada a costituire parte del fondo per un reddito di cittadinanza, affidando la quantità di sopravvivenza di “Grano” a chi non desidera lavorare. Una seconda, importantissima fonte per redditi di cittadinanza, sarebbe lo smantellamento dell’inutile apparato di controllo burocratico: oggi, costa di più controllare se hai diritto ad un servizio piuttosto che fornire il servizio stesso. Mi viene alla mente quante persone devo interpellare – le quali devono a loro volta controllare! – per ottenere un’ecografia quando, l’atto in sé, si risolve in una decina di minuti.

La via verso il reddito di cittadinanza trova subito un ostacolo nel pensiero: oh, mio Dio, e tutta questa gente che non lavorerà più, chi la manterrà?

 

La perversione degli “scommettitori” istituzionali è accompagnata – grazie alla quisquilia che “occupano” le istituzioni ed i media – dal messaggio, palese o subliminale, che l’uomo sia un animale perverso, incapace d’evolvere le sue pulsioni in attività creative.

La Storia, c’insegna invece che gran parte del sapere (e dunque della conoscenza, della competenza, della tecnologia…) è stato conquistato da persone che non avevano nessun legame economico o finanziario con le attività che svolgevano: o erano benestanti perché nobili, oppure erano sorretti da qualche mecenate. Due esempi: Volta ed Edison.

L’inversione, catastrofica, avvenne intorno al 1930 quando – per la prima volta nella storia dell’umanità (J.D. Bernal, Storia della scienza) – gli investimenti per la ricerca militare superarono quelli per la ricerca civile: fu l’effetto del riarmo americano, tedesco, britannico, ecc.

Durante la guerra fredda, il rapporto giunse ad essere di dieci ad uno in favore delle armi, e non ci vengano a raccontare pretesi e felici “fall out” nel comparto civile, che esistono, ma sono briciole al confronto di quel che si spende per le armi.

 

Questo mondo oramai iper-militarizzato, ha condotto all’estinzione della figura del mecenate – sia esso un munifico protettore oppure lo Stato – prosciugando proprio le risorse per chi voleva semplicemente studiare per conoscere. E, dalla pura conoscenza, è nata l’interpretazione del mondo naturale. Sempre cicli che s’intersecano, in un solo, infinito logos.

Dimenticando il legame con il mondo naturale, non interiorizzando più i suoi messaggi, allontanando il piacere di conoscere semplicemente per curiosità, abbiamo costruito intorno a noi una gabbia nella quale, l’unico divertimento rimasto, sembra essere quello di scommettere su come si muoveranno delle montagne di biglietti di banca. Oltretutto, virtuali, poiché sono soltanto tracce elettroniche sui monitor: almeno, lo zio Paperone provava la gioia del tuffo nel famoso deposito! Noi, manco quella.

La tendenza ad ignorare il vero piacere della conoscenza – per come trattiamo la scuola appare evidente – non ci regala “tempo libero”: ci assegna solo un posto in una gabbia d’allevamento. E, tutte le istituzioni, sono lì apposta per ricordarcelo.

Possiamo trovare esempi spiccioli di questa miserrima tendenza negli impianti giuridici ed economici: la proibizione (UE) dei cosiddetti “aiuti di Stato” (e che la ricerca si fotta), oppure le potenti campagne (dis)informative attuate dalle influenti lobby dei combustibili fossili e dell’Uranio contro le energie rinnovabili. Possiamo spiegare altrimenti perché, nel Paese che ha inventato il solare termodinamico con Rubbia, non esiste una sola centrale?

 

Chi ha avuto la pazienza di seguirmi fino a questo punto, si chiederà quale sia la morale, la soluzione, la riscossa dopo tante chiacchiere. La risposta non può esistere, per ora, perché abbiamo scordato l’assioma di partenza: l’espiazione.

E’ già qualcosa, però, immaginare d’aver scapolato gli scogli dell’espiazione per gettare lo sguardo oltre l’ostacolo: per ora, solo per tracciare qualche timida ipotesi.

Senza le quali, però, rimarremo ancorati a cose serissime, come le scommesse delle banche, i piatti di poker chiamati Alitalia, le esternazioni senza contraddittorio di Berlusconi nell’alveare dell’Insetto, le sfiorite obiezioni di ex ministri veltroniani, le fiorettiste che affermano di “lasciarsi toccare”, le ministre che, invece…

 

A scelta: io, preferisco oramai ascoltare le rime del vento. Lui, non annoia mai.

Torna alla scelta degli articoli