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La rivincita di Massenzio

Nel tormentone agostano, non poteva mancare l’eterna querelle sull’ora di Religione: confesso che – qui, dalla Georgia Australe, dove mi sono recato per cercare un po’ di refrigerio – la cosa non sembra così apocalittica. I pinguini continuano a fare il bagnetto nelle gelide acque antartiche, le orche aspettano il pinguino più ardimentoso per fare merenda, le balene – al largo – sbuffano, nell’osservare sì tanto affannarsi d’animaleschi tormenti.

In Italia, invece, i mesi estivi sembrano totalmente occupati dalla politica – dalla “vera” politica – poiché il resto dell’anno trascorre fra trastulli bagaglineschi, ardimentose enunciazioni – poi, subito smentite ed addossate alla “cattiva stampa” – inframmezzando il tutto con gli immancabili bagordi orgiastici, col rischio di beccarsi qualche “escortazione”.

La necessità di una simile scansione degli eventi politici è lampante: siccome i primi mesi dell’anno trascorrono nella preparazione delle immancabili elezioni di Primavera, mentre l’Autunno è dedicato al virile sport detto “assalto alla diligenza”, ovvero alla spartizione della Finanziaria a scopo elettorale per l’anno venturo, solo a Luglio è possibile politicheggiare. Ne sono una prova la controriforma delle pensioni Damiano (Luglio 2007) ed i decreti Tremonti/Brunetta sulla scuola del Luglio 2008, poi battezzati pomposamente “Riforma Gelmini”, tanto per trovare una fessacchiotta alla quale addossare, a futura memoria, la responsabilità di tanto scempio.

 

E, se dalla scuola si parte, alla scuola si torna, proprio come l’onda atlantica ritmicamente si rovescia e macina i ciottoli della spiaggia meno invitante del Pianeta: ad Agosto – unico mese di vera riflessione politica, il resto dell’anno è completamente dedicato al come acchiappare voti e soldi – ci si chiede perché debba esistere un’ora di Religione, quali debbano essere gli attributi dei docenti che la gestiscono, quali le loro prerogative in termini di valutazione, programmi, obiettivi didattici…

Si scopre così, fra il lusco e il brusco, che la piccola ora di Religione – nell’arco di un intero corso di studi – occupa un posto che non è proprio di secondo piano. Difatti[1]:

 

Religione: 1 ora la settimana, per 32 settimane (durata media di un anno scolastico), per 13 anni fa la bella cifra di 416 ore dedicate all’istruzione religiosa dei pargoli, dalla prima Elementare alla maturità.

 

Filosofia: 3 ore, per 32 settimane per 3 anni (triennio dei Licei) = 288 ore. Galileo sconfitto una seconda volta.

 

Fisica: 2 ore la settimana per 32 settimane per 3 anni (Liceo Scientifico) = 192 ore. Galileo, azzoppato e lontanissimo dal traguardo, piange.

 

Scienze: qui, il calcolo è più complesso. 10 ore nell’intero corso liceale (Classico o Scientifico) per 32 settimane = 320 ore. Nei segmenti scolastici inferiori il calcolo è più difficile (alle Medie è il docente di Matematica ad insegnarle entrambe) mentre alle Elementari il problema è ancora più sfumato…insomma, aggiungiamo due ore a settimana alla Medie e finiamola. 2 ore a settimana, per 32 settimane per 3 anni =  192. Totale Scienze: 512 ore. Per un’incollatura, Scienze batte Religione.

 

Senza tediare oltremodo il lettore, la classifica finale dell’agostano “Palio della Scuola” vedrebbe senz’altro nelle prime posizioni i cavalli delle contrade dell’Italiano, della Matematica e del Latino, poi la Storia, l’Inglese di misura…e poco altro. Le seconde lingue soccomberebbero senz’altro, così come la Geografia e la gran parte degli insegnamenti tecnici.

I contradaioli dell’ora di Religione possono ben far festa.

 

Il secondo aspetto della vicenda riguarda proprio il criterio di scelta: chi vuole, può astenersi dal frequentarla. Il che, apre un altro problema: che fanno quelli che non la fanno?

Normalmente, entrano dopo od escono prima, oppure se ne vanno in cortile, in biblioteca…ovunque ci sia un posto dove accamparli e, soprattutto, un docente che li controlli, perché non si può abbandonarli al loro destino.

I genitori possono chiedere un insegnamento alternativo – dalla fotografia alla preparazione delle confetture – il quale, però, è meglio che non sia troppo interessante, altrimenti il docente di Religione si lagna: nessuno accetta di scendere di posizione, ed i contradaioli di Religione non esultano nel vedere il loro cavallo trasformarsi in un ronzino.

 

Le due soluzioni – semplice custodia od insegnamento alternativo – sono le vere “croci” dei Presidi, poiché i bilanci sono sempre più “stretti”, falcidiati dalle visite fiscali per un solo giorno di malattia (60 euro a botta, diktat di Brunetta) e le cattedre, nel claudicare delle varie “riformette” – dalla verace Moratti alla ragazzina che è oggi a Viale Trastevere – sono state sempre di più “accorpate” a 18 ore. Qui, necessitano spiegazioni per i non addetti ai lavori.

 

Di norma, l’orario d’insegnamento di un docente è di 18 ore (ci sono alcune eccezioni) ma ciò non significa che le 18 ore siano tutte d’insegnamento, perché è difficile far coincidere l’orario di classe (l’orario settimanale) con le 18 ore del docente. Esempio: due classi al triennio dello Scientifico, Italiano e Latino, fanno 16 ore: e le rimanenti 2? Sono a disposizione per sostituire colleghi assenti: vera e propria “manna dal cielo” per chi deve gestire la scuola, visto che i supplenti sono chiamati solo oltre i 15 giorni d’assenza continuativa.

Le “riformette” sopra citate hanno “riorganizzato” le cattedre, “razionalizzandole”: hai due ore che eccedono? Vai ad insegnare Geografia in una prima.

A forza di “razionalizzare” per ottenere “risparmi”, già oggi i Presidi si trovano in ben tristi ambasce quando scoppia l’influenza, oppure quando c’è un’assemblea sindacale, o ancora quando un docente si reca ad un corso d’aggiornamento o ad un convegno autorizzato (ne ha diritto per contratto) che coincide, in parte, con l’orario di lezione, per sostituire i colleghi che accompagnano i ragazzi alle gite scolastiche, per trovare un insegnante per la biblioteca, ecc.

Saggiamente, Gentile (1923) previde una sorta di “riserva”, qualche ora di “panchina” per far fronte alle più disparate esigenze: questi, non sapendo nemmeno da dove inizia la gestione di una scuola, hanno “razionalizzato”.

Il buon Preside, si trova oggi – a fronte di chi chiede un insegnamento alternativo all’ora di Religione – di fronte a due soluzioni, entrambe spesso impraticabili: pagare un’ora in più ad un docente che si renda disponibile (e non ha i soldi!), oppure prenderlo dall’orario delle ore a disposizione, che già è ridotto al lumicino. Spesso, l’unica soluzione che può attuare è gettare dignitosamente la spugna.

 

Il terzo aspetto – che più interessa per questa puntata agostana del “Palio dell’ora di Religione 2009” – riguarda cosa s’insegna nell’ora di Religione. Non ci riferiremo, ovviamente, a ciò che radio fante narra, ossia un pacato trastullo del nulla, poiché queste sono soltanto voci incontrollate, sanguigne collere d’incontinenti bruciacristi, giacobine invettive causate da astinenti prese della Bastiglia.

Nell’ora di Religione s’insegna la Religione Cattolica. Punto.

 

Ed è un punto difficile da porre, poiché l’Italia non è più quella placida, tranquilla plaga di Rosari e Processioni del secolo scorso. Anzi, più il tempo passa, e sempre di meno sono coloro che s’affidano corpo e beni all’intercessione del prete per ogni passo della loro vita.

Stupisce – in un paese cattolico, che ospita il Vaticano – scoprire che tanti italiani, senza aver approfondito le religioni orientali, affermano di credere nella reincarnazione. Oppure, ritengono di poter gestire da soli – sulla scia dell’ebraismo o dei Luterani – il proprio rapporto con la divinità. Senza considerare le centinaia di migliaia d’italiani che non sono cattolici: almeno 20.000 si sono convertiti all’Islam – e senza correre dall’imam di Al-Azar, al Cairo, mentre Magdi “Cristiano” Allam s’è fatto battezzare addirittura dal Papa! – poi c’è la tradizionale presenza ebraica e luterana, mentre gli adepti delle religioni orientali (soprattutto il buddismo, nelle sue varie manifestazioni) sono in costante aumento.

Alcune di queste confessioni vengono spregevolmente definite “sette”, per far passare il messaggio “è roba di serie B”: sarà pure di serie Z ma, se si rispetta la legge e non si commettono reati, ciascuno ha il sacrosanto diritto di professare quel che vuole. E di ricevere l’8 per mille per il suo credo: questa dovrebbe essere la semplicissima “ricetta” di uno Stato democratico.

 

Gli immigrati sono oggi il 5% della popolazione italiana ma, siccome sono più prolifici, sono il 10% circa della popolazione scolastica: è oramai normale avere in classe qualche musulmano od ortodosso.

A fronte di questa situazione – facendo forza sul dettato concordatario – le gerarchie ecclesiastiche strombazzano ai quattro venti anatemi contro il TAR del Lazio, colpevole di voler escludere il loro cavallo dal Palio.

Forse, se fossero più avveduti, s’accorgerebbero che sono loro stessi ad escluderlo, obbligando i loro “cavalli” a giocare una partita persa in partenza, e mettendo sempre di più in difficoltà l’istituzione scolastica che le loro “intemperanze” deve gestire.

 

Se l’Italia diventa sempre di più un Paese multietnico, e se molti italiani s’affidano ad altri credi, non sarebbe meglio far correre un “cavallo” che narri la storia delle Religioni, i vari credi, le differenze, le altrui ricchezze? Il tempo per farlo non mancherebbe certo: hanno più tempo a disposizione dei docenti di Fisica e di Filosofia! Che s’assumano le loro responsabilità: a quel punto, l’insegnamento dovrebbe divenire obbligatorio, per tutti.

Vediamo cosa lo impedisce.

 

La gerarchia cattolica non comprende (o fa finta di non capire) che l’Italia è un Paese sempre meno legato al Cattolicesimo, al di fuori degli aspetti esteriori e d’immagine, e sempre più smarrito. Lo stesso Giovanni Paolo Secondo s’accorse del problema, giungendo ad affermare che, a fronte del nulla, era senz’altro meglio credere in qualcosa, anche al di fuori del Cattolicesimo.

Con l’avvento di Benedetto XVI – uomo che fu apertamente contrario alle aperture ecumeniche del suo predecessore – la gerarchia cattolica s’è ancor più chiusa in se stessa: lancia anatemi contro un ignaro giornalista il quale, notando l’evidenza, comunica che ad ascoltare il Pontefice c’erano “quattro gatti”.

S’intrufola, poi, nelle questioni interne della politica nazionale: niente pillola RU 486, niente PACS, nulla che possa contraddire una visione integralista della dottrina, come se cedere in qualcosa aprisse brecce troppo pericolose, difficili da controllare. E, proprio questo è il punto.

 

Quando una religione è morente, proprio lì vanno ad incentrarsi gli sforzi per sostenere con l’apparenza (soprattutto mediatica) la sua sopravvivenza: se stiamo importando, oltre a banane e computer, anche preti e suore, qualcosa vorrà pur dire.

Sprangate le porte, è ovvio che gli spifferi allargano ogni giorno che passa pericolosissime (per loro) crepe: oggi è la questione dell’ora di Religione, domani sarà il celibato dei preti, dopodomani altro ancora. E’ la dottrina ad essere vecchia, inutile raccontare frottole: come si fa, in tempi d’AIDS, a proibire il preservativo?

La Chiesa Cattolica è anche una potenza economica, ma questo ha scarsi legami con la sua diffusione dottrinale: al più, conterà per mantenere fedeli gli uomini delle istituzioni, i quali, a loro volta, si trovano in evidente difficoltà nel dover difendere l’indifendibile. Lo fanno, perché il Dio Denaro abita anch’egli le sacrestie, ma con il trascorrere del tempo sarà sempre più dura e gli italiani comprenderanno sempre di meno gli anatemi e gli “inviti” che giungono da Oltretevere.

Potranno anche acquistare sul mercato dei politici un Rutelli – che partì Radicale! – ed averlo al loro servizio: più difficile sarà riempire le Chiese e, soprattutto, i Seminari.

Quando l’attuale (e molto anziana) generazione di religiosi se ne andrà, la nazione che da sempre ha ospitato il Papato si ritroverà un clero composto in maggioranza da africani ed asiatici, i quali dovranno “evangelizzare” una popolazione diversissima per cultura, tenore di vita, valori, ecc. Paradossalmente – cosa assai curiosa – il futuro clero sarà più vicino, culturalmente, proprio al popolo dei migranti spesso – nella vulgata imperante – inviso ed accusato d’infinite colpe.

 

E’ altrettanto vero che la gerarchia cattolica non può fare altro: cedere le armi e riconoscere – come fece Papa Wojtila – che l’Italia è oramai “terra di missione”?

No: continuano, come fece Massenzio, a sperare – con la forza del denaro o delle armi – di riuscire a spostare un po’ più in là l’inevitabile tracollo.

Per questa ragione la piccola ora di Religione non può trasformarsi nella “Storia delle Religioni”, poiché sarebbe la certificazione di una sconfitta: a dire il vero, sarebbe soltanto la loro sconfitta, giacché la vera spiritualità abita i cuori in modo assai discreto, tende a non manifestarsi troppo nel mondo, dialoga con l’Uomo nell’intimo dei suoi dubbi, delle sue paure e delle risposte che riesce a darsi. Il troppo clamore, l’assorda e la tacita.

 

Perciò…”Tanto clamore per nulla”? Ebbene…sì: continueremo a propinare ai nostri giovani 416 ore di Religione Cattolica, fino all’inevitabile estinzione. E non della sola disciplina scolastica.

 

[1] I calcoli sono stati eseguiti al netto di qualsiasi riforma, ovvero riferendoci al tradizionale “impianto Gentile”.

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