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“Il ciarlatano di ieri è il professore di domani.”
Sir Arthur Conan Doyle, L'imbuto di cuoio.
Colpa dei fascisti. No, non sono i nostalgici del Duce e di Salò, non c’entrano niente con pugnali e gagliardetti: sono i nuovi “fascisti”, ossia coloro che fanno d’ogni erba un fascio. Così ti svegli una sonnacchiosa mattina d’agosto e scopri che ti hanno sbattuto in prima pagina sul “Corriere della Sera”, a firma – niente di meno che – del vicedirettore, sahib Magdi Allam.
Quando questa gente ti riserva un simile onore non lo fa per un civile dibattito – digni non sumus – ma per la semplice necessità di sbattere sempre il mostro in prima pagina: è una regola del giornalismo, anche Magdi si è imparato.
Questa volta – ad essere finiti nel “fascio” – sono stati l’UCOII (Unione delle COmunità Islamiche Italiane) ed il sottoscritto, reo d’aver affermato che Israele ha operato (e se non c’era Hezbollah lo avrebbe fatto ancor meglio) la pulizia etnica in Libano.
L’UCOII – per coloro che ancora non lo sapessero – il 20 agosto ha acquistato degli spazi su alcuni quotidiani nazionali (fra i quali proprio il Quotidiano Nazionale) dove ha accusato Israele di praticare il genocidio contro le popolazioni arabe come lo fecero i nazisti. Noi non siamo “fascisti” – caro Magdi – e delle affermazioni dell’UCOII risponderà l’UCOII stessa, mentre il sottoscritto non teme di rispondere delle proprie, ed ovunque lo ha sempre fatto firmandosi con nome e cognome, senza mai usare un nickname.
Sul fatto che Israele abbia praticato la pulizia etnica in Libano c’è così poco da dire che non merita nemmeno di spenderci troppo tempo: ha forse bombardato indiscriminatamente Beirut? No, le bombe israeliane sono diligentemente cadute solo sui quartieri di Beirut sud – quelli abitati dagli sciiti – e poi nella parte meridionale del Libano e lungo la Bekaa: tutti posti dove vivono gli sciiti libanesi.
Oddio, qualche ordigno è caduto anche altrove – anche il miglior bombardamento “chirurgico” ha le sue pecche – ma basta osservare una foto satellitare di Beirut, prima e dopo la “cura” israeliana, per rendersi conto che la parte sud della città è stata rasa al suolo. D’altro canto, si sa che sono sempre i terroni a pagarla più cara.
Io non so se tu – caro Magdi – consulti qualche volta un dizionario della lingua italiana – non s’addice certo al vicedirettore di un grande giornale – ma forse (anche di nascosto, per carità…) faresti meglio a sfogliarlo.
La locuzione “pulizia etnica” viene comunemente usata per definire il tentativo di colpire – in un’area multietnica – una sola etnia. Punto e basta.
Non è mica una novità, sai? Noi europei abbiamo grande esperienza di “pulizie etniche” – vivaddio, ne siamo maestri – abbiamo iniziato con i valdesi, gli Ugonotti, gli ebrei…recentemente abbiamo continuato con gli albanesi, i serbi, i musulmani di Bosnia…hai mai sentito parlare di Jugoslavia?
Sappiamo riconoscere quando si attua la pulizia etnica: cambiano i mezzi – ogni cielo ha le sue regole – e c’è chi preferisce “ripulire” con i machete (Utu e Tusti) e chi con la bombe da 1.000 Kg sganciate sulle abitazioni, come a Gaza ed a Beirut.
Come dici? Si tratta pur sempre di misure attuate “contro il terrorismo”? Accidenti, Magdi, ma allora cerchi di fare il furbo…dai, ammettilo…
Non lo sai che una bomba da 1.000 Kg come quelle usate a Gaza sbriciola – e, ripeto, letteralmente sbriciola – un’area corrispondente all’incirca ad un campo di calcio? Scusa sai, ma noi europei le conosciamo bene quelle bombe perché quando cadevano distruggevano interi isolati, quartieri: guarda Milano, passeggia e scopri dove sono cadute le bombe, osserva la differenza fra le vecchie case ottocentesche e quelle costruite dopo la guerra. Guarda e impara, puoi fare un po’ di jogging ed unire l’utile al dilettevole.
Nel momento stesso che si sgancia un simile ordigno su di un’area abitata (sia essa Gaza, Beirut o Milano) non si distingue più un obiettivo preciso – che so io, un ponte od un deposito d’armi – ma s’intende colpire un’area, e con essa quelli che vivono in quella determinata area. E che cosa è, questa, se non pulizia etnica? Non saprei proprio come chiamala altrimenti: prova tu – caro Magdi – vedi un po’ se nel tuo dizionario egiziano-italiano trovi qualcosa di meglio, io di più non riesco a scovare.
Lascia che ti dica però una cosa: Magdi, un po’ mi hai deluso, devo ammetterlo. Osservando l’arguzia che traspare dal tuo viso levantino, speravo che tu ci rendessi edotti sui retroscena che agitano il Vicino Oriente, l’Egitto, l’Arabia Felix, invece – man mano che passa il tempo – mi sembra di sentir aleggiare nelle tue parole lo spirito di Renato Farina (anche lui vicedirettore, di Libero) che però non mi ricorda molto l’acume di Sinuhe l’egiziano. Scusami, stavo anch’io facendo d’ogni erba un fascio, ed essere associati nello stesso fascio con Renato Farina non è un grande onore, al massimo s’ottiene una ramazza, di quelle utili per pulire le stalle.
Qualche miglioramento però c’è: forza Magdi, che sei sul cinque e mezzo, un piccolo sforzo e ce la puoi ancora fare. Sono mesi che dalle invereconde pagine del Web parlo di Fratellanza Musulmana e finalmente vedo che anche tu l’hai citata come pietra dello scandalo, la madre di tutte le nequizie. L’analisi è un po’ carente, ma siamo sulla buona strada: cinque e mezzo, appunto.
Quello che non ti consente di raggiungere la sufficienza è che non ci hai raccontato niente di cosa veramente è ed è stata la Fratellanza Musulmana. Io l’ho fatto anni fa in “Al-Qaeda: chi è, da dove viene e dove va” ed il libro era così schifoso che Franco di Mare (conosci?) lo ha usato per intessere un “esclusivo” servizio del TG1, senza ovviamente citare la fonte. Ho le registrazioni e la comparazione con il testo, mica balle. Come dici? Le vie legali? Mettersi in lite con mamma RAI, in Italia, è come chiedere agli americani cosa successe ad Ustica: suvvia, siamo seri.
Ancora oggi mi chiedo perché una sera qualunque – mentre ti trastullavi alla corte del Vespone – non ci hai parlato di Hassan Al Banna. Forse ne valeva la pena di ricordare questo dimenticato insegnante di Ismailija che – nel 1928 – si pose il problema di come conciliare la modernità che avanzava con la tradizione islamica, con le Sure del Corano. Se solo tu lo avessi fatto il “sei” era assicurato, certo, ma non lo hai fatto…sarebbe stato così facile per te, egiziano…
Entrambi sappiamo che il grande problema che oggi chiamiamo “terrorismo islamico” o quant’altro ha proprio lì le sue radici, ma bisogna dirlo se si vuole la sufficienza, mica gettare lì due parole “Fratellanza Musulmana” e poi svicolare via con la solita filippica sul terrorismo. Eh no, così non va: guarda che, se continui così, il debito formativo – a settembre – non te lo leva nessuno. Vedrò di farlo ancora una volta io per te ma ti avverto: è l’ultima eh? Poi scrivo il voto sul registro.
Nel 1928, gli arabi avevano ancora il sederino dolente: sì, bruciava ancora un po’ perché erano trascorsi solo otto anni dal Trattato di Sèvres (se lo nominavi, mezzo punto in più).
Cosa c’era scritto in quel trattato? Semplicemente che – crollato l’Impero Ottomano – la Francia avrebbe regnato sulla Siria e sul Libano e la Gran Bretagna sulla Palestina, sull’Iraq e sulla penisola arabica (eccettuato l’Higiaz, la regione dove sorgono La Mecca e Medina).
Il sederino bruciava perché – per liberarsi del giogo turco – agli arabi era stato promesso che, se combattevano a fianco degli inglesi, avrebbero ricevuto in cambio la completa libertà dalle dominazioni coloniali. Eh, caro ragazzo, lo so che fu una bella fregatura, ma Pinocchio l’abbiamo scritto noi, mica gli arabi!
Chi recitò la parte di Mangiafuoco nella vicenda?
L’inconsapevole Mangiafuoco – tenero britannico, ammantato dall’etere efebico che solo gli inglesi “cockney” sanno esprimere – fu il “colonnello” Lawrence, ma anche qui si continua con Collodi perché di militaresco Lawrence non aveva un accidente, era un’altra “bufala”.
Thomas Edward Lawrence – detto “Lawrence d’Arabia” – era un archeologo che aveva viaggiato parecchio in Oriente e che conosceva bene gli arabi. Conosceva anche bene il suo mestiere, visto che si permise di lasciarci una traduzione dell’Odissea dal greco antico.
Quando scoppiò la Prima Guerra Mondiale, gli inglesi non avevano sufficienti truppe per combattere i turchi in quello scacchiere: il fronte europeo ingoiava intere generazioni. Bisognava trovare degli alleati, gente motivata e convinta per fare la guerra ai turchi; quel giovane archeologo di Oxford – che faceva parte dell’esclusiva Round Table britannica, insieme a lord Kitchener, allo scrittore H.G. Wells ed altri – cascava a fagiolo: divenne capitano per censo e poi, via via che aumentavano i suoi successi contro i turchi, salì la gerarchia militare. L’opera di Lawrence fu magistrale per le sorti della guerra, giacché seppe convincere gli arabi a combattere i turchi per conto di Sua Maestà britannica.
Al termine delle ostilità, Lawrence e le sue bande d’arabi comandati dallo sceriffo della Mecca Hussein – il bisnonno dell’attuale re giordano (perché non le racconti queste cose? Perché ti ostini a giocare la parte dell’ultimo della classe?) – avevano scacciato i turchi e conquistato Aqaba, sul Mar Rosso.
Vennero gli accordi di pace, e quando tacciono le armi s’inizia ad avvertire odor di fregatura: così dopo si può declamare ai quattro venti che qualcuno ha rotto gli accordi e scatenata una nuova guerra.
Al grande tavolo della pace di Versailles, Lawrence sedette per provocazione insieme alla delegazione araba, dopo aver rifiutato la carica di vicerè dell’India: l’idealista Lawrence s’era impegnato di persona a consegnare quelle terre agli arabi, ed il Trattato di Sèvres (che era nell’aria) non manteneva certo gli impegni che aveva preso nel Neghev con Hussein.
Prima di lasciare Lawrence al suo destino – che lo avrebbe condotto, per delusione, a lasciare l’esercito e ad arruolarsi come semplice aviere nella RAF, sotto falso nome, fino all’oscura morte sulla quale gli inglesi non hanno ancora sollevato il segreto di stato – citiamo soltanto alcune sue corrispondenze dall’Iraq del dopoguerra (anni Venti del ‘900):
«Il popolo inglese è stato portato in Mesopotamia in una trappola, dalla quale sarà assai difficile uscire con dignità e onore. Gli inglesi sono stati indotti ad andare da una costante mancanza di informazioni. I comunicati provenienti da Baghdad sono tardivi, fallaci e incompleti. Le cose sono andate molto peggio di come sono state riferite, e la nostra amministrazione è stata molto più sanguinaria e inetta di quanto l'opinione pubblica abbia appreso. Per il nostro primato di impero si tratta di una sventura che presto potrebbe diventare troppo incandescente perché sia possibile rimediarvi. Non siamo troppo lontani, ormai, dal disastro.»
Chissà se Rumsfeld ha letto quei giornali del 1920? Forse, fargliene avere una copia, non sarebbe male…
«Il nostro governo è peggiore del sistema turco di una volta. Loro mantennero 14.000 soldati di leva locali e mantenendo la pace uccisero una media annuale di duecento arabi. Noi abbiamo 90.000 uomini con aeroplani, carri armati, cannoniere, e treni blindati. Abbiamo ucciso circa 10.000 arabi nel corso dell'insurrezione di quest'estate. Non possiamo sperare di mantenere una simile media. Ci è stato detto che l'insurrezione ha motivazioni politiche, ma non ci è stato detto che cosa voglia la gente del posto. Forse quello che il governo ha promesso. Un ministro della camera dei Lord ha detto che dobbiamo avere così tanti soldati perché i locali non si arruoleranno.»
Non riusciamo a mantenere la media di 10.000 morti l’anno, maledizione, siamo peggio di Saddam…pardon, dei turchi…
«Di quanto l'assassinio di decine di migliaia di persone dei villaggi e delle città rallenta la produzione di grano, cotone e olio? Quanto a lungo lasceremo che milioni di sterline, migliaia di soldati dell'Impero e decine di migliaia di arabi siano sacrificati nel nome dell'amministrazione coloniale, che non favorirà nessun altro al di fuori dei suoi amministratori?»
Sostituire, nel testo, “grano, cotone ed olio” con “petrolio e gas” e si può ripubblicare il tutto.
«Nel frattempo le nostre sventurate truppe, indiane e inglesi, in avverse condizioni climatiche e di approvvigionamento pattugliano un territorio immenso, pagando quotidianamente un caro prezzo in termini di vite umane per la politica ostinatamente sbagliata dell'amministrazione civile di Baghdad.»
Qui non è necessario cambiare nemmeno una virgola, ed è quasi trascorso un secolo[1].
Spicchiamo un salto nel tempo e nello spazio e scendiamo ad Ismailija nel 1928, dove un povero insegnate dell’epoca – forse frustrato dalle indecenze di un qualche ministro dell’Istruzione che si chiamava Al-Moratt – chiuse i testi di grammatica e si mise a meditare: è possibile, per i musulmani, convivere con questo sfracello d’automobili, aerei e quant’altro che avanza?
La grande domanda senza risposta – la “madre di tutti i guai” – è qui: una civiltà che è rimasta pressoché statica per un millennio (l’eterno “Medio Evo” islamico) va in pezzi quando viene a contatto con il mondo occidentale. Il problema è che parliamo di un miliardo di persone, ed i “pezzi” sciabolano via ovunque.
Agli inizi, la Fratellanza Musulmana appoggiò il golpe degli “Ufficiali Liberi” che portò nel 1952 al potere Gamal Abdel Nasser e spodestò quel “re di coppe” che rispondeva al nome di Faruk. Un gran bel aiuto per il giovane Nasser, ma ben presto la “deriva” verso l’URSS dell’Egitto non convinse i Fratelli Musulmani, che cercavano una via originale alla modernità, mica una fotocopia strapazzata inviata da Mosca.
Nasser – come qualsiasi dittatore che si rispetti – si liberò allora dell’organizzazione con l’impresa di pulizie interna, ossia con la forca. Caddero così le migliori menti dell’organizzazione – Said Qubt, ad esempio – ed i resti della Fratellanza Musulmana sciamarono nel Vicino Oriente per sfuggire alle persecuzioni.
La genesi di tutti i movimenti transnazionali islamici – da Al-Qaeda alla Jiiad islamica, da Fatah ad Hamas – trovano una comune origine in quella lontana diaspora, anche se – successivamente – ciascuno scelse il suo “sponsor”, chi la Siria e chi l’Iraq, chi i sauditi e chi l’Iran.
Proviamo ad analizzare la vita del capo di Al-Qaeda. Chi? Bin Laden? Che ormai il capo di Al-Qaeda è l’egiziano Al-Zawahiri lo sanno anche i ranuncoli – soltanto Magdi Allam non lo sa – ma c’è da chiedersi se Magdi Allam sa cos’è un ranuncolo.
Casualmente, ma non troppo, il medico egiziano – membro della Fratellanza Musulmana dal 1967 – esce dalle galere di Mubarak nel 1984 (dopo l’assassinio di Sadat) e nel 1985 è già in Afghanistan, proprio quando la guerra contro i sovietici sta terminando. Cosa porta in dote Al-Zawahiri alle formazioni militari che hanno combattuto i blasfemi sovietici?
Al-Zawahiri è un esperto ideologo che sostiene la necessità – per il mondo musulmano – di superare le divisioni nazionali (sovrastrutture lasciate dai colonizzatori) con un’organizzazione la quale sia di sostegno per chiunque combatta gli occidentali nel pianeta: un network di servizio per il Jiad, una “base”.
Mentre Osama Bin Laden proviene dal fumoso mondo wahabita delle fatwe, dell’integralismo wahabi e delle ricchezze petrolifere, Al-Zawahiri è un politico pragmatico, cresciuto sulla sponda sud del Mediterraneo ed avvezzo ad una visione politica dell’Islam, meno ammantata di precetti rispetto a quella saudita.
In definitiva, siamo di fronte ad una serie di movimenti che non riconoscono i confini attuali, giacché tracciati con scarsa arguzia dai colonizzatori e si pongono l’obiettivo di sottrarre le popolazioni islamiche dalle dominazioni neocoloniali che gli occidentali perpetuano nei loro paesi grazie a governi compiacenti e corrotti.
Stare da una parte o dall’altra non serve a niente, perché questa non è una partita di calcio: qui occorre comprendere cosa è successo e cosa sta succedendo.
Perché, Magdi, non racconti che nel tuo “democratico” paese il Faraone Mubarak detto “l’Inossidabile” – giacché pilotava i Mig-25 – governa da anni con la legge marziale ed ha imprigionato 20.000 oppositori politici?
Rassicurati: qui puoi dirlo, perché in Italia vige ancora un po’ di libertà di stampa e – almeno sul Web – queste cose si possono dire. Capisco che non fa un gran effetto raccontarle ai lettori del “Corriere”, ma se continui così la sufficienza puoi sognartela.
Per quel che abbiamo combinato in un secolo di colonialismo – ed in un altro mezzo secolo di neocolonialismo “targato” compagnie petrolifere e Banca Mondiale – non abbiamo fornito ai musulmani molto materiale per amarci: siamo onesti, ammettiamolo.
Dalla rivolta del Mahdi soffocata con il sangue di 20.000 guerrieri sudanesi da lord Kitchener fino a Falluja, con il fosforo bianco e quant’altro, quante decine o centinaia di migliaia di musulmani abbiamo assassinato? Gli ultimi sono soltanto un migliaio di libanesi: oggi che la ferita è fresca appaiono molti, ma nella storia spariscono se raffrontati alla scia di sangue che abbiamo lasciato, dall’Algeria all’India.
Oggi, si dà il caso che questa quisquilia di territorio sia occupato da un miliardo di musulmani: la risposta che dobbiamo dare (e darci) è se convenga continuare con una “guerra infinita” oppure cercare degli accordi di convivenza.
Viviamo sulle sponde del medesimo mare: non abbiamo scelta – sin dai tempi dell’Impero Romano – e dobbiamo convivere oggi come dovranno farlo le prossime generazioni.
Oggi è il petrolio, ma domani sarà il sole, perché la pia illusione europea d’essere autosufficienti dal punto di vista energetico è una fiaba: il sole che “conta” – ossia la radiazione pressoché costante tutto l’anno – la troviamo solo nelle fascia compresa fra i due Tropici.
Invece cosa facciamo? Invadiamo l’Iraq per cacciare un dittatore/presidente non molto diverso dal Faraone egiziano o dal generale pakistano, e dopo alcuni anni gli iracheni si ritrovano a dover pronunciare il classico “si stava meglio quando si stava peggio”. Prima, dovevano stare attenti a non infastidire le “orecchie” del regime, oggi devono scansare ogni giorno l’autobomba quotidiana, il cecchino sunnita od il poliziotto sciita, la raffica americana o lo scoppio di una bomba al passaggio di un convoglio. Bel gioco dell’Oca quotidiano è toccato in sorte agli iracheni: getti i dadi ogni mattina soltanto per sopravvivere.
Ah, già: dobbiamo portare in quelle terre la libertà e la democrazia.
Ti confesso che non mi piace l’integralismo islamico, non mi va di non poter bere una birra a Ryad – e di dover andarla a bere in Qatar, come fanno gli stessi sauditi – e fra una donna in burka ed una in bikini preferisco quella in bikini, ma non per questo ritengo che tutti debbano bere birra e vestire il bikini.
In buona sostanza, il vecchio Illuminismo è sempre una buona ricetta per garantire le proprie e le altrui libertà, a patto di mantenersi all’interno di quel relativismo culturale che Ratzinger – non ancora papa – già si prefiggeva di combattere.
Il problema è che non si può porre fine al cosiddetto “Medio Evo islamico” a suon di bombe: se il tuo barista ha l’abitudine di non consegnarti lo scontrino fiscale, prova a pretenderlo riempiendolo di martellate. Prova, poi mi racconti com’è andata a finire.
L’unica via è appoggiare i tentativi di sintesi fra la cultura islamica ed i modelli sociali che cercano di superare i vari Faraoni & Saladini, là dove se ne scorgono i segni.
Gli “alleati” di Washington sono i sauditi che non hanno nemmeno un Parlamento ed i pakistani che hanno perso il conto dei golpe militari: all’opposto, i “nemici” sono il Libano (l’unica nazione a possedere delle strutture democratiche di stampo occidentale!), la Siria – che non è molto diversa dal tuo “democratico” Egitto – e l’Iran, ossia una nazione che tenta di conciliare Stato e Chiesa, ciò che in Occidente – nei secoli scorsi – ha fatto scorrere fiumi di sangue. Attenzione: non sto sostenendo che l’Iran sia un fulgore di democrazia ma che almeno – a loro modo – ci stanno provando, mentre a Ryad devono ancora aprire l’abbecedario.
Dovremmo anche sostenere le nazioni multietniche – come l’Iraq ed il Libano – ed invece le sotterriamo con le bombe: ma che cosa ci possiamo ragionevolmente attendere in cambio?
Da ultimo, il fulgore israeliano, la loro indiscussa superiorità sugli arabi.
Facciamo notare che – ad una settimana dal termine delle ostilità – non ci sono stati lanci di razzi e nessuna violazione della tregua da parte di Hezbollah, mentre Israele ha continuato a sparare sui miliziani, fino a compiere un’azione di commando nella valle della Bekaa. Se lo avessero fatto gli Hezbollah, cos’avresti scritto? Perché, invece, nessuno condanna le violazioni israeliane?
A Tel Aviv hanno un curioso concetto della guerra e della pace: noi possiamo intervenire in Libano quando vogliamo per “preservare” la democrazia libanese, ma se ci sparano addosso sono dei terroristi. La risoluzione 1701 deve provvedere a disarmare completamente Hezbollah, così la prossima volta torniamo a fracassare tutto (come nel 1982 e nel 2006) senza che nessuno ci graffi la vernice dei Merkawa. Ti ricordo che Hezbollah è un movimento politico che ha anche una milizia, che l’UE non considera una formazione terrorista, e mi sembra che tu – pur extracomunitario – viva in Europa. Se ti chiami fuori dalle scelte europee in politica estera fallo: io non ho remore a farlo quando lo ritengo necessario.
Di questo passo, Israele mette veramente a repentaglio la vita dei suoi cittadini: perché non accetta una pace con gli arabi basata sulla risoluzione 242 – che Tel Aviv non ha mai rispettato – cede i territori ai palestinesi e si chiude la vicenda?
L’Arabia Saudita – nel 2002 – fece la proposta a nome della Lega Araba: perché Israele non accettò?
Se non sai la risposta non fa nulla, mi assumerò ancora una volta l’ingrato compito di rispondere io per te, ma la sufficienza – a questo punto – te la puoi proprio scordare.
Perché da anni – in Israele – confondono il diritto internazionale con la legge talmudica, ossia quella che assegna allo stato ebraico i territori “dal deserto al Libano, dal Mediterraneo all’Eufrate”[2].
Ora, gli israeliani sono liberi di credere in ciò che vogliono, ma non possono lamentarsi se gli altri non sono d’accordo, e mi sembra che Hezbollah abbia dato loro un sonoro avvertimento: sta a loro decidere se continuare nella follia del Eretz Israel oppure trovare un accordo soddisfacente con gli arabi. Direi che è “buona” la seconda.
Purtroppo, così non sembra, a giudicare dal tenore delle e-mail che giungono da server israeliani al sottoscritto. Ho deciso di renderne pubblica una affinché i lettori – ed anche tu, Magdi – possano rendersi conto della grande educazione che regna da quelle parti:
Si dovrebbe vergognare, lei , solo di pronunciare la parola “Pulizia Etnica”.
I suoi simili, con l’odio per cio’ che è diverso da loro sono coloro i quali hanno condotto pulizie etniche Lei non è diverso da un SS, con le sue frasi che traboccano un impressionante odio antisemita! Lei non sa cosa è stata la SHOA e le persecuzioni razziali.
Il suo articolo è delirante! Affermare che Israele ha condotto una pulizia etnica in libano vuol dire affermare il falso, scientemente. Lei per suo fortuna, non sa neanche cosa voglia dire vivere nel terrore che i propri figli possano non far ritorno a casa perché qualcuno ha deciso di far saltare in aria il loro autobus, lei non sa neanche cosa voglia dire doversi nascondere dai missili, dopo che il proprio paese è stato aggredito e due dei suoi soldati rapiti.
Con questa lettera non intendo assolutamente far cambiare idea ad un essere spregevole come lei ma semplicemente ricordarle che nella storia dell’umanità in tanti hanno provato ad annientare il popolo ebraico e nessuno vi è mai riuscito, sono tutti scomparsi o morti prima! Amalech, gli egiziani, i papi, i mussulmani, l’inquisizione, hitler.
Continuare a proteggere quella parte dell’islam che ha intrapreso una guerra contro IL NOSTRO MONDO DEMOCRATICO E LIBERO è semplicemente una manifestazione della sua pochezza e poca intelligenza.
Le auguro di provare sulla sua pelle molto presto cosa voglia dire perdere un proprio caro in un attentato terroristico che verrà compiuto non dagli Israeliani da lei tanto odiati bensi da un integralista islamico…..ma probabilmente anche in quel caso accuserebbe il popolo ebraico della sua disgrazia.
MArio Rossi
Il brano è allo stesso tempo minaccioso e venato da un’ombra di terrore: non si spande violenza in questo modo quando si è tranquilli e non si teme nulla; io non insulto mai, al massimo prendo in giro nei canoni concessi dal lessico.
Io non ho mai negato la Shoà, non ho mai affermato che Israele debba scomparire, non ho mai augurato a nessuno disgrazie e chi legge i miei articoli mi è testimone: il mio desiderio sarebbe quello che non esistessero più né attentati né bombardamenti, né occupazioni militari né razzi, ed il modo per riuscirci c’è, basterebbe volerlo. Solo, ritengo che per arrivarci servano il dialogo e non le bombe.
Questo è invece il modo di rapportarsi di coloro che sostengono la “guerra infinita”, un’evidente accozzaglia d’ignoranza distillata, i quali giungono ad affermare che non esistono più “i papi, i musulmani e gli egiziani” (?). Magdi, stai “in campana”.
A ben vedere, questi violenti non si distinguono soltanto per le bombe: anche con le minacce ci vanno giù pesante, e mi torna alla mente che quando Rabin divenne scomodo “qualcuno” lo fece fuori, e mica si trattava di un arabo. Meno male che non sto dalla parte dei “bombaroli”, perché non vorrei vivere un solo secondo con la mente offuscata del signor “MArio Rossi”. Ah, Magdi, è per caso un tuo conoscente?